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fattiNOStri domenica 26 aprile 2020 ore 15:34

Intervista all’Onorevole Fratoianni

Coronavirus, patrimoniale, porti, populismo e altri argomenti in un’intervista stringente.



FIRENZE — Onorevole, lei ha presentato delle proposte per superare la crisi determinata dal coronavirus, tra cui l’introduzione di un reddito di quarantena. Dove pensa di trovare i fondi?

I fondi si trovano innanzi tutto aumentando il debito: è una strada necessaria in questo contesto. Di fronte a questa emergenza sanitaria e sociale è necessario garantire che nessuno resti solo, che nessuno perda il lavoro, che nessuno si trovi in una condizione nella quale è messa a rischio la sua vita. L’area della povertà e dell’esclusione sociale rischia di ampliarsi: servono supporti per tutelare tutte quelle persone che non sono in grado di accedere agli strumenti classici, agli ammortizzatori sociali, con particolare attenzione per i giovani e i precari.

Dunque lei sta attaccando il modello capitalista e liberale.

Sì. Io penso che il capitalismo finanziario sia un modello che negli ultimi decenni ha messo sempre di più al centro il profitto, l’interesse di pochi. Ovviamente a danno dell’interesse collettivo. Pensiamo alla sanità, che è stata in gran parte privatizzata o ridotta a logiche di carattere aziendale. Io non ho niente contro l’impresa privata, ma bisogna riconoscere che essa si muove per fare profitto. Ci sono settori importanti su cui non puoi applicare questa logica, primi fra tutti istruzione, salute, trasporti e ambiente. Se riduciamo a mercato anche tutto ciò che serve a garantire diritti universali, quando arriva una pandemia non ci sono abbastanza posti letto in terapia intensiva e si rischia di dover arrivare a scegliere chi curare; è inaccettabile.

Ha parlato di disuguaglianza sociale. Sappiamo che Sinistra Italiana ha proposto l’istituzione di una tassa patrimoniale: non crede che comporterebbe il rischio che le grandi ricchezze residue, che detengono una fetta del nostro debito, cerchino altri lidi?

Certo, ma ci sono strumenti per impedire che questo accada. Per diminuire le disuguaglianze una patrimoniale basata sul principio della solidarietà è necessaria. Se lo Stato tassasse dell’1,5% il patrimonio di ciascun milionario, si ricaverebbero 12/13 miliardi considerando l’eliminazione delle forme già esistenti di patrimoniale.

Tornando alla crisi coronavirus, cosa pensa del fatto che il ministro Speranza abbia firmato un decreto per la chiusura dei nostri porti?

Credo che il ministro, sotto pressione per l’emergenza, abbia sbagliato, anche se restiamo contrari a una politica di sbarchi incontrollati. Insieme a molti colleghi ho firmato più di un appello per chiedere al Governo sia di garantire chi rischia la vita nella traversata del Mediterraneo, sia di tutelare la salute di tutti (migranti, comunità costiere…). Penso che proprio nei momenti di grande difficoltà ci si debba occupare di chi è più debole.

Ma cosa ha realmente in comune SI con gli altri partiti della maggioranza, a parte l’assunto antisalviniano?

Ci sono punti di convergenza con il M5S, come l’attenzione alle tematiche ambientali e con il PD con cui si costruisce via via un’intesa. Questo governo è nato in una condizione di emergenza e ci accomuna l’idea che usciremo da questa crisi solo creando un mondo nuovo in cui salvare i più deboli e per non farci trovare impreparati in un’altra pandemia.

Di Salvini lei critica il linguaggio e i modi del suo populismo nazionalista. Come crede che sia possibile opporsi a tale ideologia? E secondo lei qual è l’atteggiamento da tenere con la cosiddetta Bestia?

La Bestia è un pericoloso strumento per la creazione di consenso in cui la Lega ha investito enormi risorse, forse proprio quei famosi 49 milioni. Essa scarica sui nemici più deboli le contraddizioni che hanno a che fare con il sistema. Di fronte a questo è necessario urlare, e forte, la propria indignazione. Per questo motivo ho scelto di salire sulle navi delle ONG, primo nemico della Bestia. Bisogna svelare gli imbrogli, bisogna spiegare che misure come la flat tax non sono d’aiuto ai comuni cittadini, ma solo a chi ha le tasche già gonfie.

Forse è qui la debolezza della sinistra. Se la destra propone un nemico concreto, l’immigrato, la sinistra ne propone uno astratto, la disgregazione sociale o il capitalismo.

Quando si ha paura non c’è niente di meglio che avere un nemico in carne ed ossa, magari più debole. Se qualcuno ti spiega che, invece di organizzarti per cambiare le cose puoi prendere a calci chi è più debole di te, farlo diventa rassicurante. Certo dopo non ti sentirai meglio, perché ti accorgerai di non aver risolto niente.

Ma la sinistra, a differenza della destra, non fa arrivare il suo messaggio. Se non riesce a comunicare la propria concezione del mondo il cittadino medio non arriverà a votarla.

Vero. Negli ultimi anni la sinistra non è mai riuscita a comunicare con chiarezza le proprie idee e così facendo è finita spesso per legittimare le posizioni degli avversari. Per cambiare c’è bisogno di affrontare i problemi sin dalla radice. Chi vuole essere alternativo alla destra deve avere la forza di esserlo in modo netto. Sinistra Italiana lo fa, ma è piccola per cui molti rinunciano a votarci. Si devono sostenere le proprie idee, ma comprendo chi pensa all’efficacia del proprio voto.

Cosa pensa della frammentazione della sinistra?

È necessario superare nei tempi più brevi il problema dell’attuale frammentazione di tutto ciò che sta a sinistra del Partito Democratico; finché la sinistra sarà così debole sarà sempre molto difficile allargare l’area del consenso.

Un populismo di sinistra potrebbe costituire un’alternativa?

Si è utilizzata questa definizione in modo troppo semplicistico. È necessario recuperare e costruire consenso attorno ad alcune questioni importanti, come i beni pubblici, la redistribuzione della ricchezza o la giustizia sociale. Con populismo intendiamo l’idea di procedere verso una semplificazione del messaggio o slogan politico, ma ci si scontra con la complessità della realtà: non è un caso che le forze che si definiscono populiste facciano molta fatica a misurarsi con un’esperienza di governo.

In tempi recenti l'unica community significativa di una sinistra radicale è riconducibile al senatore americano Bernie Sanders e agli slogan utilizzati nella sua campagna elettorale.

Sanders dotato di grande capacità retorica si è servito di slogan per avanzare proposte molto strutturate, ma credo che presentando lui i democratici hanno rifatto l’errore di puntare su un moderato. Non si vince al centro: è necessario un elettorato forte, mobilitato e radicalizzato. Se la politica non recupera l’aspetto del conflitto tra le visioni del mondo, finisce per non essere più interessante.

Rimaniamo in tema slogan: usciremo davvero migliori da questa crisi?

Non lo so. Talvolta ho trovato urticante la retorica delle ultime settimane perché si scontra con la durezza della realtà, ma capisco il bisogno collettivo di attaccarsi a qualche speranza. Ne usciremo migliori soltanto se decidiamo di cambiare tutto, con una società migliore, più moderna e in grado di affrontare le sfide del futuro, salvo fare attenzione al rischio di cadere in una grande regressione sociale e politica.

Intervista a cura di

Tommaso Becchi, Luca Parisi e Elisa Salvadori 3C, 

Liceo Classico Michelangiolo, Firenze


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