soNOSolidale giovedì 14 maggio 2020 ore 07:04
Silvia doveva rimanere nelle mani dei rapitori?
Uno studente di quarta liceo analizza la narrazione della liberazione della cooperante italiana che ha generato numerose reazioni sui social network
FIRENZE — Nel villaggio di Chakama, in Kenya, verso la fine del 2018 accade un fatto la cui notizia, in Italia, sconvolge tutti: una giovane donna con studi in campo umanistico e umanitario, che era in quel paese da pochi mesi come cooperante, viene rapita. L’accaduto sembra coinvolgere e sconvolgere milioni di italiani che si immedesimano nella madre e nel padre o nel fratello e nella sorella della giovane. Per mesi poi non si hanno più notizie, fino alla liberazione dell'ostaggio.
Diciotto mesi dopo il Presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, annuncia l’avvenuta liberazione di Silvia, in Somalia, e il suo imminente ritorno a casa. Invece di accogliere con gioia una notizia positiva, così rara in tempi di CoronaVirus, parte dell’Italia sceglie di dividersi, mostrando un lato che non possiamo che definire becero e incivile.
Avremmo dovuto rallegrarci tutti per il ritorno di Silvia in libertà, per il suo rientro in Italia e in famiglia, per la parte attiva avuta dallo Stato, pur in una contingenza delicata e difficile. Invece non sono mancate polemiche, scontri e perfino gravi offese, calunnie e una bottiglia contro una finestra della sua casa. Forse perché Silvia appare, in qualche modo, la sintesi del nemico perfetto per molti italiani frustrati e ignoranti: è donna, è giovane, è laureata, è caritatevole e, pare, è convertita all’Islam; tutte caratteristiche che, per molti, non dovrebbero meritare affatto il prezzo di un presunto riscatto. Pur sapendo che avrebbero potuto ucciderla. Già, perché o viene pagato il riscatto o si lascia che l’ostaggio sia ucciso. Una terza opzione, quella di un intervento militare, difficilmente è presa in considerazione per i rischi di vite umane (come nell’episodio di due militari francesi e di un ostaggio morti, nel 2013, nel corso di un’operazione di salvataggio, sempre in Somalia). La scelta dovrebbe dunque essere obbligata.
Ma, soprattutto, non dovrebbe esprimere alcuna di queste opinioni chi non conosce di persona il significato di fare il cooperante in un paese in via di sviluppo. Tornando al presunto riscatto resta da valutare il punto di vista etico secondo cui pagare un riscatto può essere sbagliato per il rischio che si possano incentivare i rapimenti, ma è altrettanto vero che da anni, almeno dalla fine dell’ultima guerra mondiale, in molti paesi vige l’opinione che uno Stato debba limitarsi a un’analisi costi-benefici, senza scomodare né l’etica, né la morale.
I problemi maggiori per Silvia “Aisha” Romano sono comunque dovuti alla sovraesposizione mediatica che ha circondato la sua vicenda, spinta a tal punto che, pensando di rivolgersi a lei, sono arrivati a offendere, sui social, perfino delle ragazze omonime.
Tommaso Becchi
Classe 4C Liceo Michelangiolo, Firenze
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