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NOScorner sabato 06 giugno 2020 ore 07:45

Da Nixon a Trump la crisi del modello America

Prendendo spunto dai fatti di Minneapolis le opinioni di due studenti a proposito di Trump e Nixon negli USA fino a Javad Zarif in Iran e Xi Jinping in Cina



STATI UNITI — Dopo la morte di George Floyd, l’afroamericano ucciso da un poliziotto in Minnesota, migliaia di persone sono scese in piazza per manifestare. Alle proteste pacifiche dei primi giorni sono seguite numerose rivolte. Il 29 Maggio il commissariato di Minneapolis è stato incendiato. Da questo momento, le manifestazioni, già estese a gran parte del paese, sono state duramente osteggiate in molti stati dalla polizia. 

Per motivi di sicurezza, venerdì sera è stata disattivata l'intera illuminazione esterna della Casa Bianca e Donald Trump è stato portato nel bunker sotterraneo della propria residenza ufficiale. “LAW & ORDER!” ha twittato il Presidente. Così in molti hanno tracciato un interessante parallelismo con Richard Nixon, che con lo stesso slogan vinse le presidenziali del 1968, anno segnato dalle proteste per l’uccisione di M. Luther King

Anche questo 2020 è anno di elezioni. Eppure, secondo diversi analisti, le differenze con il presidente del Watergate sono troppo nette per portare a risultati analoghi: Trump promette la guerra, Nixon offriva la pace. "This is a resignation. It should be taken as a resignation. If your country is in crisis, your cities are burning, your police forces are assaulting, murdering, and kidnapping people, and you turn the lights off and hide? You’re not the President. You’ve resigned your duties". Quale sia la reale strategia dell’attuale presidente per contenere le rivolte, è difficile dirlo. Certo è che, a cinque mesi dalle elezioni, farà di tutto per riguadagnarsi l'immagine da tough guy. Sia la visita presidenziale con Bibbia e fumogeni di Lunedì alla St. John’s Church, sia la minaccia di inserire ANTIFA nella lista delle organizzazioni terroristiche sono da intendersi proprio secondo questa prospettiva. Poco importa la natura delle intimidazioni: tutto il mondo ha parlato per giorni della sfrontata fermezza di Trump.

Intanto, dall’altra parte del globo, a condannare Trump sono l’Iran e la Cina, due stati che stanno sfruttando le proteste interne americane a scopi apertamente propagandistici. L’obiettivo è sempre quello di delegittimare il modello americano in favore della propria struttura autoritaria. Il ministro degli esteri iraniano, Javad Zarif, ha twittato lo screenshot di una dichiarazione del segretario di stato americano Mike Pompeo risalente al 2018, opportunamente modificata: "To those of us who do: it is long overdue for the entire world to wage war against racism". Il documento ostentava la pessima leadership iraniana rispetto alle proteste avvenute tra la fine del 2017 e l’inizio del 2018 che Zarif ha riproposto scambiando i termini.

Pechino, allo stesso modo, ha accusato Washington di favoreggiare i rivoltosi di Hong Kong, ma di non essere poi in grado di gestire l’attuale situazione interna. Xi Jinping mostrando sui media cinesi il caos statunitense, ricorda ai propri connazionali quanto le insurrezioni siano un segnale di disordine e non di armonia: "The looting and other violence show us the deeper currents and catalysts to this state of affairs; there is a much deeper socioeconomic deterioration which has plagued the US particularly since the post Reagan mid-1990s".
Infine, tornando agli Stati Uniti, è notizia recente l'arresto dei quattro poliziotti coinvolti nella morte di George Floyd. Le proteste continueranno ancora, ma il Pentagono ha confermato che l'esercito non verrà dispiegato contro i manifestanti.

Tommaso Becchi e Luca Parisi

Classe 3C Liceo Classico “Michelangiolo”, Firenze


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